Sma: il caso delle nuove gestioni in arrivo dall’America
2 Dicembre 2025 – I Separately managed account (Sma) consentono ai clienti di diventare parte attiva del processo d’investimento. Negli Stati Uniti, questi strumenti, molto accessibili grazie alla tecnologia, sono arrivati a rappresentare il 18% del mercato. E adesso sono pronti a conquistare anche l’Europa
Le gestioni patrimoniali nascono come lo strumento più vicino alla filosofia del private banking. Eppure, secondo i dati di Aipb, in Italia solo il 24% di questi prodotti può definirsi realmente personalizzato. Il resto è rappresentato da soluzioni multilinea, meno coerenti con lo spirito “private” che dovrebbero incarnare. È in questo scenario che i Separately managed account, anche noti con l’acronimo Sma, iniziano a proporsi come una soluzione alla crescente richiesta di personalizzazione, efficienza e trasparenza: uno standard di mercato al di là dell’Oceano Atlantico, ma che l’Europa – inclusa l’Italia – sta iniziando a declinare solo di recente, in una nuova veste.
“Stiamo vivendo un momento particolare dell’industria, caratterizzato da due fenomeni: la compressione dei margini e la spinta competitiva derivante dagli etf (exchange-traded fund)”, racconta Mauro Panebianco, partner di PwC Italia e responsabile per l’Italia e l’Emea dell’asset & wealth management. “Gli Sma rappresentano un’evoluzione delle gestioni patrimoniali, in grado di sostenere personalizzazione e scalabilità”. La forza della personalizzazione risiede in un modello di relazione che coinvolge il cliente in ogni fase della costruzione del portafoglio.
Il focus sul segmento affluent
In questo percorso il cliente diventa infatti parte attiva del processo, arrivando a esercitare una vera e propria “ownership” diretta dei titoli, in base a preferenze, obiettivi e propensione al rischio. “Gli Sma puntano sui clienti affluent – con patrimoni tra 500mila e un milione di euro, facoltosi ma non private – che controllano circa la metà del risparmio investibile in Italia. Sono clienti che desiderano sentirsi parte del processo d’investimento, ai quali una tipologia di investimento ‘a scaffale’, chiusa, può stare stretta. Al tempo stesso, su questo segmento, una tipologia di investimento estremamente personalizzata potrebbe risultare poco sostenibile per l’istituzione finanziaria”, argomenta Nicola Pepè, senior business development manager di Objectway.
Gli ostacoli fiscali
Dopo la pandemia, complice un contesto fiscale favorevole, gli Sma hanno registrato una crescita a doppia cifra negli Usa, fino a rappresentare il 18% del mercato della gestione patrimoniale. “Quasi tutte le società di asset management hanno al proprio interno una soluzione di Sma”, spiega Panebianco. “Quindi anche in Europa ci si è interrogati su come individuare nuove soluzioni che potessero non deteriorare il margine delle aziende, offrendo al tempo stesso una risposta attiva alle esigenze degli investitori”. Desiderata che sono scontrati, tuttavia, con ostacoli fiscali, in particolare nel Belpaese. A pesare è soprattutto l’applicazione dell’Iva sulle gestioni patrimoniali, un onere che non esiste oltreoceano. “Inoltre, sul fronte del gestito, il nostro sistema adotta la regola del maturato, valutando la performance complessiva del portafoglio. All’estero, invece, prevale la logica del realizzato: le plus e minusvalenze vengono compensate sul singolo titolo”, osserva l’esperto.
Le differenze con gli Stati Uniti
Un altro aspetto da considerare, secondo Pepè, è il modo in cui gli Sma vengono declinati da una sponda all’altra dell’Atlantico. “Negli Usa sono considerati strumenti finanziari a tutti gli effetti. In Italia, invece, li stiamo valutando come modello di servizio: rivolto a una clientela che desidera dialogare con il banker ed essere accompagnata nell’operatività, ma al tempo stesso beneficiare della competenza del gestore di patrimoni”, afferma l’esperto. Ad ogni modo, l’evoluzione introdotta dagli Sma non sarebbe possibile senza un’infrastruttura tecnologica capace di sostenere personalizzazione e scalabilità: un altro tema cruciale per la finanza tricolore. “L’industria italiana dei servizi finanziari si basa su infrastrutture tecnologiche un po’ rigide e, a volte, si riscontra una certa avversità a ricercare soluzioni esterne”, conferma Panebianco. “Queste nuove soluzioni girano su tecnologie molto avanzate e moderne, a volte in cloud. Quindi è uno scoglio che va superato. Va detto che anche in Italia l’evoluzione tecnologica sta accelerando, il che potrebbe presto allentare molte delle rigidità attuali”.
Guardando al futuro, Pepè ribadisce come circa il 50% del risparmio in Italia sia riconducibile alla clientela affluent. “È un bacino di utenza importante e trasversale. Tutte le banche private stanno guardando con interesse a questa evoluzione. L’obiettivo è rendere questo approccio industrializzabile senza perdere la personalizzazione. Servono piattaforme di consulenza e di gestione patrimoniale integrate allo stato dell’arte, capaci di operare e sfruttare i servizi cloud, e di abilitare processi fluidi che coniughino il momento relazionale e il momento gestorio, rendendo questo modello sostenibile, scalabile e realmente centrato sul cliente”, afferma. Al momento, in Italia l’unico operatore che offre una soluzione di Sma sviluppata sulla propria clientela è Mediobanca Premier. Ubs, invece, ha sviluppato il proprio modello a livello internazionale e sta guardando ora al mercato nostrano. “Tutto ciò che funziona negli Usa, prima o poi, trova riscontro anche in Europa. Siamo, di fatto, dei follower dell’industria statunitense: i trend e le soluzioni vincenti oltreoceano arrivano inevitabilmente anche nel Vecchio Continente”, afferma Panebianco. “Mi aspetto quindi che questa tipologia di soluzioni prenda piede e si affermi come un modello di successo anche qui”.