July 25, 2024
La gestione del rischio nella consulenza e nel Wealth Management: adeguatezza e Analisi di portafoglio
Senior Business Leader at Objectway
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OWINTALK | BEHIND BUSINESS, BEYOND NEWS
Negli ultimi anni, il settore della gestione del risparmio in ambito di consulenza finanziaria e gestione di portafogli individuali ha visto una crescita competitiva significativa. Cercando di trarre vantaggio da competenze e analisi una volta appannaggio esclusivo del mondo dell’asset management, è emersa l’esigenza di costruire, anche per il Wealth Management, processi di consulenza basati su solidi processi di investimento, che riguardano le aree di: monitoraggio preventivo (analitycs di rischio ex – ante), costruzione di portafoglio (asset allocation e ottimizzatori), monitoraggio ex – post (performance realizzata e rendimenti di portafoglio).
Questa tendenza è stata guidata da una varietà di fattori che variano da paese a paese, tra cui:
- Miglioramento della qualità del servizio: Gli operatori del settore hanno cercato di incrementare la qualità dei servizi offerti, mantenendo i costi per la clientela finale il più contenuti possibile.
- Normative e regolamenti: Le normative, come la MIFID, hanno avuto un impatto significativo, imponendo nuovi standard di conformità e trasparenza. In Italia, ad esempio, l’effetto della MIFID è stato più pronunciato rispetto ad altri paesi, spingendo le istituzioni a destinare budget consistenti a progetti di compliance.
Uno degli aspetti maggiormente influenzati è la gestione del rischio del portafoglio. La normativa richiede un controllo rigoroso dei rischi di mercato, credito e liquidità per i patrimoni dei clienti privati sottoposti a consulenza. In Italia, questo ha portato a un uso intensivo di metriche di rischio per soddisfare i requisiti normativi, spesso a scapito di un approccio proattivo alla gestione del portafoglio.
In altri paesi, come il Regno Unito, l’approccio alla regolamentazione del rischio è stato meno rigido. Qui, il controllo del rischio di mercato si è tradotto principalmente in vincoli di esposizione a determinate classi di asset, con un uso meno sofisticato di tecniche quantitative. Questo ha permesso una maggiore vicinanza ai modelli di gestione del rischio tipici dell’asset management, dove il linguaggio comune e l’approccio ai fattori di rischio sono più integrati.
Per meglio comprendere questa evoluzione, in occasione della conferenza “Portfolio Analytics: Risk, Performance, Style & Sustainability”, organizzata dal REPAiR LAB di SDA Bocconi – School of Management, abbiamo presentato ed analizzato due progetti di piattaforme di consulenza che abbiamo sviluppato in Italia e nel Regno Unito. L’approccio a entrambi i progetti si è basato su una partnership win-win tra Obejctway, in quanto fornitore di soluzioni e piattaforme di financial advisory che utilizza un motore di rischio che consente di calcolare diverse misure, e Confluence, che sviluppa le capacità di analisi per ciascun singolo strumento secondo un apparato metodologico robusto e attraverso un approccio industriale.
La sinergia non sovrapposta tra le due società si è esplicata nella disponibilità di determinati elementi costitutivi alla base dei calcoli dei rischi normativi: le serie storiche stimate dei rendimenti dei singoli strumenti sottoposti ad analisi, secondo l’approccio HS, per il rischio mercato, la perdita attesa a un anno a livello di strumento legata al puro rischio di credito per il rischio di credito, la perdita potenziale associata allo smobilizzo più o meno tempestivo della posizione per il rischio di liquidità.
Il caso italiano
L’istituto italiano che abbiamo analizzato serviva principalmente una clientela private, con esigenze di maggiore personalizzazione rispetto alle banche retail. La soluzione ha messo a disposizione un motore di rischio per il controllo di adeguatezza del rischio mercato, credito e liquidità del portafoglio. Per il rischio mercato, la misura prescelta è stata la volatilità annualizzata secondo l’approccio di HS, utilizzando le serie storiche dei rendimenti giornalieri nella divisa di denominazione dei portafogli (EUR). La profondità storica era stata fissata a due anni, sebbene alcuni clienti preferissero tre anni o periodi più lunghi.
A livello operativo, il valore di rischio portafoglio calcolato veniva confrontato con quello di soglia (ossia il rischio massimo) associato al profilo del cliente titolare del portafoglio. Se il valore era inferiore alla soglia, il portafoglio era adeguato al controllo del rischio in oggetto, altrimenti era inadeguato in caso di adeguatezza non migliorativa.
Nell’ambito del processo di consulenza, questi controlli venivano naturalmente eseguiti nell’elaborazione di una proposta di investimento, ma erano previsti anche momenti di controllo passivo di verifica se il portafoglio fosse divenuto inadeguato per movimenti di mercato e non per modifica della composizione del portafoglio. In questo caso l’intervento diveniva proattivo verso il cliente, inducendolo a migliorare la propria posizione di inadeguatezza.
Oltre a queste misure, non veniva fornita alcuna altra informazione di dettaglio, a parte il VaR e il CVAR, nemmeno i rischi relativi, rispetto a un portafoglio modello o a un benchmark, o la decomposizione del rischio come elemento di analisi.
In sintesi, il rischio influenzava la movimentazione di portafoglio come elemento sintetico, in particolare per mantenere il rischio sotto la soglia di guardia associata al profilo.
Il caso del Regno Unito
In UK, le esigenze erano più complesse, nonostante l’assenza del vincolo normativo del controllo di adeguatezza del rischio di mercato. In questo caso, l’obiettivo principale era supportare sia il processo di consulenza e gestione operativa del portafoglio, sia il processo di investimento e asset allocation. Per la gestione operativa di portafoglio, simile al caso italiano, si è utilizzando l’approccio HS per il rischio di mercato, in aggiunta ai rischi di credito e liquidità, ma con richieste di misure aggiuntive per supportare il gestore nella operatività del portafoglio.
Questo ha portato a dotare l’analisi di misure di rischio relativo (YEV, ReVaR), contributi al rischio, sensitivity delle posizioni al rischio di portafoglio, analisi di correlazione.
Il processo di asset allocation richiedeva invece una profondità storica maggiore per scopi di scenario analysis e si basava sull’asset class come elemento decisionale. Pertanto, all’approccio metodologico di HS, è stato affiancato un approccio parametrico, con la definizione di circa cento asset class e la loro associazione ad un benchmark di riferimento opportuno, osservabile e rappresentabile attraverso una serie storica.
Utilizzando la mappatura degli strumenti sulle asset class, gestita internamente dall’istituto, e le serie storiche delle asset class, il motore di rischio ha fornito misure di “lungo periodo” per portafogli modello e portafogli della clientela, abilitando analisi di scenario, calcolo di drawdown e analisi forward secondo il cono di Ibbotson.
In sintesi, nel caso italiano il contesto normativo è stato predominante e ha portato a interpretare le misure di rischio come un perimetro all’interno del quale il gestore di relazione può muoversi, secondo criteri che possono essere legati al rischio o meno, mantenendo una vista complessiva sul rischio finale di portafoglio da ottenere.
Nel secondo caso, i calcoli e le misure, invece, sono entrati nella definizione dell’operatività anche in termini preventivi, ossia andando a misurare di quanto si vuole modificare il rischio di una posizione con un’ottica relativa al rischio finale complessivo.
Le differenze si evidenziano soprattutto sulla tipologia di strumenti utilizzati per la consulenza.
Il caso italiano vede una spiccata presenza di fondi, certificates e obbligazioni, affiancata da una certa consistenza in polizze e gestioni individuali.
In UK le tipologie di strumento maggiormente diffuse sono azioni, ETF e i fondi comuni. Le obbligazioni sono residuali e sono assenti i certificates.
L’attenzione in UK era più spostata verso la gestione di portafoglio che al collocamento di prodotti.
In recent years, the wealth management sector in financial advisory and individual portfolio management has seen significant competitive growth. Seeking to leverage expertise and analyses once exclusive to the asset management world, there has emerged a need to build solid investment-based advisory processes for Wealth Management. These processes cover areas such as: pre-emptive monitoring (ex-ante risk analytics), portfolio construction (asset allocation and optimizers), and ex-post monitoring (realized performance and portfolio returns).
This trend has been driven by various factors that vary from country to country, including:
- Improvement in service quality: Industry operators have sought to enhance the quality of services offered while keeping costs for end clients as low as possible.
- Regulations and compliance: Regulations, such as MiFID, have had a significant impact, imposing new standards of compliance and transparency. In Italy, for example, the effect of MiFID has been more pronounced than in other countries, prompting institutions to allocate substantial budgets to compliance projects.
One of the most affected aspects is portfolio risk management. The regulations require strict control over market, credit, and liquidity risks for clients’ private wealth under advisory. In Italy, this has led to intensive use of risk metrics to meet regulatory requirements, often at the expense of a proactive approach to portfolio management. In other countries, like the United Kingdom, the approach to risk regulation has been less stringent. Here, market risk control has primarily translated into exposure limits to certain asset classes, with less sophisticated use of quantitative techniques. This has allowed for closer alignment with risk management models typical of asset management, where the common language and approach to risk factors are more integrated.
To better understand this evolution, during the conference “Portfolio Analytics: Risk, Performance, Style & Sustainability,” organized by the REPAiR LAB at SDA Bocconi – School of Management, we presented and analysed two advisory platform projects we developed in Italy and the United Kingdom. The approach to both projects was based on a win-win partnership between Objectway, a provider of financial advisory solutions and platforms that uses a risk engine to calculate various measures, and Confluence, which develops analytical capabilities for each instrument using a robust methodological framework and an industrial approach.
The complementary synergy between the two companies was manifested in the availability of certain foundational elements for regulatory risk calculations: the estimated historical series of returns for the individual instruments analysed, using the HS approach for market risk, the expected one-year loss at the instrument level linked to pure credit risk for credit risk, and the potential loss associated with more or less timely liquidation of the position for liquidity risk.
The Italian Case
The Italian institution we analysed mainly served private clients, who required more customization than retail banks. The solution provided a risk engine for the adequacy control of market, credit, and liquidity risk in the portfolio. For market risk, the chosen measure was annualized volatility using the HS approach, with daily return series in the portfolio’s denomination currency (EUR). The historical depth was set at two years, although some clients preferred three years or longer periods.
Operationally, the calculated portfolio risk value was compared to the threshold value (i.e., the maximum risk) associated with the client’s profile. If the value was below the threshold, the portfolio was adequate for the risk control in question; otherwise, it was inadequate in cases of non-improved adequacy. In the advisory process, these checks were naturally performed when developing an investment proposal, but there were also passive checks to verify if the portfolio had become inadequate due to market movements rather than changes in portfolio composition. In this case, proactive intervention was directed towards the client to improve their inadequate position.
Apart from these measures, no other detailed information was provided, except for VaR and CVaR, not even relative risks compared to a model portfolio or benchmark, or risk decomposition as an analytical element. In summary, risk influenced portfolio movement as a synthetic element, particularly to keep risk below the threshold associated with the client’s profile.
The UK Case
In the UK, the requirements were more complex despite the absence of the regulatory constraint of market risk adequacy control. In this case, the main objective was to support both the advisory process and the operational portfolio management, as well as the investment and asset allocation process. For operational portfolio management, similar to the Italian case, the HS approach was used for market risk, in addition to credit and liquidity risks, but with additional measures requested to support portfolio management.
This led to equipping the analysis with relative risk measures (YEV, ReVaR), risk contributions, position sensitivities to portfolio risk, and correlation analysis. The asset allocation process required greater historical depth for scenario analysis purposes and was based on asset class as the decision-making element. Therefore, the HS methodological approach was supplemented with a parametric approach, defining about one hundred asset classes and associating them with an appropriate benchmark, observable and representable through a historical series.
Using the mapping of instruments to asset classes, managed internally by the institution, and the historical series of asset classes, the risk engine provided “long-term” measures for model and client portfolios, enabling scenario analysis, drawdown calculation, and forward analysis according to the Ibbotson cone.
To sum up, in the Italian case, the regulatory context was predominant and led to interpreting risk measures as a boundary within which the relationship manager could operate, according to criteria that may or may not be risk-related, maintaining an overall view of the final portfolio risk to be achieved. In the second case, calculations and measures were incorporated into operational definitions even in preventive terms, i.e., measuring how much one wants to modify the risk of a position with a view to the final overall risk.
The differences are mainly evident in the types of instruments used for advisory. The Italian case shows a strong presence of funds, certificates, and bonds, alongside a significant presence of policies and individual management. In the UK, the most common instrument types are equities, ETFs, and mutual funds. Bonds are residual, and certificates are absent. The focus in the UK was more on portfolio management than on product placement.